domenica 6 gennaio 2013

Recensione: Tango puro. Manuale di tango argentino, di Alejandro Angelica, Marco Aleotti, Lorenzo Ceva Valla.

Un consolidato adagio vuole che il significato del libro emerga sempre da una relazione a due. Dal rapporto a distanza che si crea fra l’autore, il quale vi infonde sempre qualcosa di suo, ed il lettore, che invece lo recepisce e lo interpreta sulla base della sua sensibilità e della sua esperienza. Questo è tanto più vero nei testi didattici, ovvero quelle pubblicazioni che nascono con lo scopo preciso di trasmettere un’esperienza in termini comunicabili e riproducibili. Se però le scienze e le tecniche possiedono per definizione linguaggi propri altamente formalizzati (i simboli chimici piuttosto che le norme grafiche del disegno tecnico, oppure i pittogrammi delle carte geografiche) non tutte le attività artistiche ed espressive possono contare su strumenti simili.
Ed è proprio nei manuali dedicati al ballo che il meccanismo comunicativo tra autore e lettore tende ad incagliarsi. Essi infatti scontano la mancanza di un linguaggio condivisibile che permetta di cogliere gli elementi essenziali al di là delle innumerevoli situazioni contingenti, esattamente come il simbolo di una stazione di servizio su una carta stradale prescinde per definizione dalle possibili differenze tra l’uno o l’altro impianto, oppure, con parallelo più calzante, come il segno grafico “a” costituisce l’idea condivisa della prima lettera dell’alfabeto, che mille mani tracceranno sulla carta in mille modi diversi, tanti quanti sono calligrafie individuali.
Si comprende bene come i tentativi di superare questo ostacolo costruendo una notazione della danza in forma grafica siano stati numerosissimi, ad esempio servendosi di simboli astratti, rappresentazioni figurative, tracce del movimento nello spazio, rappresentazioni spaziali, metodi numerici, notazioni di tipo musicale, segni grafici, lettere e parole. La caratteristica comune di questi approcci è in genere la generalità e l’astrattezza, ovvero la codifica di quegli elementi che possono essere pensati comuni a tutta la coreutica, prescindendo dalle peculiarità che pur distinguono una danza dall’altra. Certi codici vanno ancora oltre presentandosi espressamente come cinetografie, ovvero linguaggi utilizzabili per rappresentare qualsiasi tipo di movimento, ad esempio anche quelli di un artigiano, prescindendo da ogni classificazione a priori dei loro intenti o delle circostanze in cui sono prodotti.
Questa premessa rende evidente da subito il principale aspetto originale di Tango puro, lavoro a più mani di Alejandro Angelica, Marco Aleotti  e Lorenzo Ceva Valla. L’aspetto più rilevante dell’opera, su cui sarà bene concentrarsi, è infatti la presentazione di un sistema specifico di notazione pensato espressamente per questa danza. Infatti, tanto i sistemi precedentemente ricordati sono generali, tanto questo codice è specifico, ovvero si focalizza su concetti (in primis quello di relazione) che appartengono al tango in senso specifico, formalizzati nel modo più aderente possibile.
Il metodo - per chi sia abituato alle descrizioni testuali o agli schemi che raffigurano il movimento della coppia nello spazio - rischia di apparire a prima vista inutilmente astruso, freddo e cervellotico. Il consiglio è quello di mettere da parte ogni preconcetto, cercando invece di accostarsi alla proposta con una certa dose di umiltà e di apertura mentale. Superata la prima fase di disorientamento emergono ulteriori pregi del sistema: l’attenzione con cui vengono colti e descritti quegli aspetti che sono propri del tango in senso specifico e non si ritrovano in altre danze di coppia; l’aver saggiamente evitato un’inutile dispersione in dettagli irrilevanti mantenendo la focalizzazione sull’essenziale ed infine la possibilità di essere perfettamente utilizzabile già con un numero ridottissimo di simboli introducendone di nuovi man mano che se ne presenta la necessità. Una volta preso confidenza con le convenzioni, risulta semplice non solo leggere il codice, ovvero tradurlo in movimento, ma persino compiere il passaggio opposto: scrivere una sequenza vista con i propri occhi è assai meno difficile di quanto possa sembrare. Il principale merito del codice sembra dunque essere la sua effabilità, l’attitudine ad essere applicato ad una molteplicità di situazioni, anche diverse da quelle proposte nel testo.
Il sistema di segni si basa infatti sulla definizione di un ridotto numero di elementi non ulteriormente scomponibili, quali aperture laterali, passi, cambi di peso e simili, impaginati in una struttura a caselle nettamente scandita dalle pulsazioni ritmiche della musica. Colonne separate ospitano i simboli dedicati al movimento dell’uomo, a quello della donna della donna, al tipo di spostamento dello spazio e alla relazione che intereccorre tra i ballerini. Il tutto si legge dal basso verso l’alto, dunque immaginando che l’uomo legga lo schema idealmente proiettato davanti a sé.



I segni più semplici, presentati al lettore all’inizio dell’apprendimento, corrispondono a movimenti e relazioni piuttosto elementari, che possono essere facilmente pensati come i costituenti elementari della danza (cambio peso, apertura ecc). Proseguendo nella trattazione si definiscono di volta in volta nuovi grafemi, ad esempio quelli che definiscono i vari tipi di boleos, dietro i quali si cela una quantità notevole di cognizioni e di riferimenti.
Sempre molto belle le foto esplicative, corredate di volta in volta dale notazioni del codice oppure da ben congegnati pittogrammi.



Saggiamente, gli autori non rivendicano diritti di primogenitura: né in senso assoluto, poiché i sistemi di notazione grafica della danza sono ormai numerosissimi, né in senso specifico, poiché è noto l’eterno principio che problemi simili tendono a produrre soluzioni simili in modo del tutto indipendente, magari a distanza di tempo. Essi paiono invece consapevoli dell’eterno dilemma per il quale quanto più si cerca di essere rigorosi tanto più si perde in comunicabilità e viceversa, tanto che la scelta di introdurre singoli simboli dietro i quali si cela una quantità notevole di cognizioni e di riferimenti obbedisce senz’altro ad un criterio di praticità. Tuttavia, sempre per restare in un modello interpretativo di tipo linguistico, il codice ha una struttura diversa dagli alfabeti occidentali moderni dove un insieme chiuso di poche decine di segni, corrispondenti ad altrettanti suoni, permettere di comunicare una quantità virtualmente illimitata di idee, senza bisogno di introdurre nuovi e più complessi simboli grafici man mano che si passa da concetti semplici a quelli più complessi.
Un aspetto potenzialmente problematico potrebbe quindi essere quindi la necessità di espandere la lista dei simboli per  introdurre altri e diversi segni grafici per rappresentare qui movimenti di cui il libro non parla, ma che compongono pur sempre il bagaglio del frequentatore delle milongas. E’ un limite non trascurabile che presuppone un’autorità unanimemente riconosciuta in grado di indirizzare l’opera di aggiornamento, controllo e valutazione oppure – in alternativa - di una collaborazione disinteressata e costruttiva tra pari. 


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Il libro non si riduce ad un elenco di schede che descrivono movimenti, ma comprende una serie di capitoli aggiuntivi, tra cui una sezione musicale, una galleria fotografica e ed un’introduzione storica. Quest’ultima si allontana dal consueto elenco di nomi e date per tentare un percorso meno comune, ovvero collegare la storia della danza con quelle trasformazioni sociali e culturali che hanno contribuito a determinarne l’evoluzione. La lettura è indubbiamente gradevole anche se gli esempi proposti al lettore non paiono avere lo stesso peso. In alcuni casi la connessione è semplice e piana, ad esempio quando movimenti più morbidi e scivolati sono messi in relazione con  l’abbandono progressivo dei cortili in favore di ambenti con un pavimento liscio. Altre volte i legami paiono un po’ cervellotici, come accade quando si vorrebbe mettere in relazione la forza di Coriolis al verso prevalente della danza nei due emisferi terrestri. In questo caso parrebbe doveroso suggerire maggior prudenza: la presunta influenza della forza sui fenomeni fisici a piccola scala, come il ben noto vortice che si forma negli scarichi, è un caso notorio di leggenda metropolitana basata su procedimenti pseudoscientifici. Immaginare un influsso sistemico sulle azioni umane, ovvero ipotizzare che essa possa manifestare effetti evidenti quando le forze che entrano in gioco nelle comuni attività quotidiane la sovrastano di diversi ordini di grandezza parrebbe un procedimento lambiccato e fuorviante. Peccato che la genericità dell’affermazione (“Secondo alcun studiosi”, p. 9) e la mancanza di bibliografia non permettano di saperne di più.
Assai più interessante - perlomeno a livello di mera suggestione - il rapporto tra il tango semplice e lineare delle origini ed una società in cui ogni individuo possedeva una collocazione definita e procedeva lungo un percorso esistenziale determinato da poche e semplici opzioni. Per altro, la multiforme imprevedibilità delle espressioni moderne farebbe il paio con un mondo avaro di certezze in cui l’unica sicurezza è il cambiamento continuo come pure l’eclissarsi di riferimenti solidi. Non è il caso di spendere altre parole poiché sul tango come metafora del postmoderno si è parlato a lungo su questo stesso blog, in particolare a proposito di Raffaella Passiatore e di Syusy Blady.
Indubbio elemento di qualità è la presenza di un CD-ROM interattivo. Il suo valore didattico è esaltato da un buon montaggio che sfrutta abilmente cambi di inquadratura, riprese in dettaglio o sequenze rallentate, mentre opportune sottotitolature commentano i passaggi chiave senza essere mai invadenti.



Decisamente originale la scelta di un elegante bianco e nero: questo dettaglio, assieme all’ambientazione minimalista in ambienti spogli e disadorni, ammicca ai codici visivi di un classico del genere quale “Lezioni di tango”.
Senza pecche la grafica ed in genere tutta la realizzazione editoriale, di cui si intuisce la metodica elaborazione, anche dal punto di vista della presentazione formale.

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La degustazione del vino prevede, tra le altre cose, la sua analisi olfattiva. Chi assaggia condivide impressioni sensoriali con altri appassionati cogliendo – poniamo – il profumo di vaniglia o quello di fieno tagliato. E’ chiaro che tutti i partecipanti devono aver già fatto esperienza di quel particolare sentore, poiché altrimenti non riuscirebbero a scambiarsi le loro impressioni e la comunicazione resterebbe opaca di significato. Questo genere di attività presuppone quindi una condizione di pre-scienza condivisa da tutti.
Tornando al libro, va osservato che anche i più semplici movimenti associati ad un simbolo sono ben lontani da essere unità minime di informazione. La semplice apertura laterale è qualcosa di estremamente più complesso rispetto al mero spostamento di un arto: presuppone infatti un controllo sulla postura dell’intero corpo, un saldo dominio dell’equilibrio, lo sviluppo di un’ azione allo stesso tempo consapevole e naturale, quelle caratteristiche che si ottengono solo dopo aver afferrato perlomeno un concetto generale del tango e delle sue strutture interne.
Si noti come sia estremamente difficile che due persone condividano la stessa nozione esperienziale di “consapevolezza” o “intenzione” di movimento (e che per altro le rispettive definizioni a priori risultano assai problematiche) mentre una buona fetta dell’umanità non solo riesce a formarsi un’idea piuttosto chiara di cosa sia l’odore di vaniglia, ma inoltre può essere ragionevolmente certa che la propria sensazione olfattiva sia sovrapponibile a quella di un’altra persona. La conclusione è quella di un’insidiosa circolarità: l’esatta comprensione degli elementi fondanti parrebbe possibile solo dopo aver afferrato la danza nella suo aspetto di movimento corporeo globale, il che vuol dire che i presupposti per utilizzare il codice sono proprio i risultati che il codice stesso si propone di fornire. Detto altrimenti, con sottile ironia, la condizione necessaria per utilizzare con profitto il testo sarebbe la presenza fisica di un maestro capace, ovvero proprio quello specifico elemento che il manuale dichiara implicitamente - con la propria semplice esistenza – di essere non indispensabile.
Su un piano diverso, il sistema pare molto preciso ed efficace quando si tratta di descrivere gli aspetti quantitativi, ovvero il moto nello spazio, ma risulta assai più debole nel comunicare la qualità del movimento, che del resto è proprio quanto da  sostanza e corpo alla danza, ne costituisce la parte più ricca ed espressiva, quella cioè che fa la differenza tra un tango ben danzato ed una riproduzione meccanica di movimenti.
Le due obiezioni, così come formulate, parrebbero assai solide ma vanno collocate in un più ampio discorso. In primo luogo, le scienze umane sono piene di insidiose circolarità simili a quella appena presentata. Da un verso contempliamo un’opera d’arte cercandovi riflesse le caratteristiche dell’epoca in cui è stata  prodotta (andiamo cioè alla ricerca di serenità ed equilibrio in un quadro rinascimentale) dall’altro, collochiamo un oggetto in un orizzonte temporale preciso poiché manifesta certi tratti specifici e non altri, attribuendo ad esempio una tela all’espressionismo tedesco per via dei suoi colori violenti e dissonanti. Dunque cosa procede da cosa?
La difficoltà di cogliere con precisione le più sottili sfumature di significato è per altro comune a linguaggi di incredibile potenza: la parola scritta è un mezzo comunicativo di grande precisione semantica, che ha reso possibili la trasmissione delle idee più complesse. Nonostante ciò le esitazioni, le pause, l’intonazione, le inflessioni, la velocità e la scioltezza dell’eloquio sfuggono del tutto ai segni alfabetici e di interpunzione.  Detto per inciso, va inoltre osservato che una notazione troppo minuziosa toglierebbe a chi danza uno dei piaceri più grandi, ovvero la possibilità di arricchire con la propria personale sensibilità anche i movimenti più semplici, lasciandovi qualcosa che non appartiene a nessun altro. La soluzione pare del tutto persuasiva e nasconde probabilmente un lungo lavoro di affinamento.
Pare quindi che un merito non piccolo di Angelica, Aleotti  e Ceva Valla sia stato quello di portare a termine un lavoro così complesso senza lasciarsi spaventare troppo da antinomie che sono comunque irrisolvibili, ma anzi ponendosi nella posizione di chi vuole pur sempre offrire un contributo costruttivo nella consapevolezza che la sua azione non riuscirà mai ad esaurire ogni problema, ben sapendo cioè che rimarranno comunque territori inesplorati e spazi bianchi. La qualità di una nuova proposta si misura prima di tutto sulla sua capacità di fornire risposte a problemi precedentemente insoluti.
Se poi questo specifica proposta saprà effettivamente diffondersi e imporsi come linguaggio grafico condiviso del tango danzato, con lo stesso valore universale della notazione su pentagramma, sarà ovviamente solo il tempo a dirlo.
Ma glielo si può augurare di cuore.

Cosa è piaciuto:
  • pregio didattico
  • chiarezza espositiva
  • cura grafica e qualità editoriale

Cosa non è piaciuto:
  • nulla
Il giudizio in una riga: un prodotto di qualità nato da un’intuizione brillante, sviluppata con talento.

Scheda completa: Tango puro : manuale di tango argentino / Alejandro Angelica ; Marco Aleotti ; Lorenzo Ceva Valla - Milano : Hoepli, 2012 - 291 p. : ill. ; 22 x 24 cm + 1 DVD. - ISBN 978-88-203-4641-6 Euro 33,92

4 commenti:

  1. Proprio bella questa recensione!

    [ microsbavatura grammaticale: la terza persona singolare del verbo "dare" si scrive dà (e non da) :) ]

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  2. Complimenti davvero per questa eccellente recensione!

    Mi farebbe davvero piacere vederne una di questo livello per questo libro:
    http://www.edizionidelfaro.it/libri/tango-energia-biomeccanica-e-cinestetica
    Grazie.

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  3. Grazie per questa recensione esauriente e molto chiara. Acquisterò l'opera perchè, nello studio del tango, sento la necessità di una codifica di base su cui "appoggiare" la memoria cosciente delle sequenze, finchè questa non sia diventata memoria del corpo. La nomenclatura, un po' variabile e spesso inesistente, non mi aiuta: una convenzione come quella descritta sembra invece essere proprio quello che mi serve. Grazie ancora!

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  4. Ciao Dr Zero, grazie mille della recensione, solo ora l'ho trovata che sto iniziando a fare un nuovo libro in inglese, visto che mi sono trasferito in Inghilterra, ti ringrazio molto per analizzare esaustivamente il tango codex, anche se non voglio minimamente discutere della tua eccellente recensione, ti spiego che la qualità del movimento è pensata per essere vista nel dvd, il libro è un incrocio di linguaggi che si complementano e le informazioni vanno fruite in sinergia. Anche se il t. codex si puo' scrivere su un quaderno a mano, durante una lezione dal vivo, cosa che ho testato con diversi gruppi di allievi di vari livelli, nel libro presento solo una versione ridotta, ci sono almeno altre 6 colonne e i suoi rispettivi simboli e un sistema di appunti per specificare ulteriormente altri dettagli che uno sceglie come importanti per se stessi spiegati dal vivo in una lezione. Forse un giorno faro un libro specifico su questo sistema di notazione, ti racconto che ci ho messo 10 anni per sviluppare il sistema, tango codex, e ho studiato sia la notazione Laban, che non è funzionale per il tango, sia vari tipi di sistemi grafici come il Cinese, le Rhune, scrittura musicale, la calligrafia occidentale, e svariati tipologie di alfabeti, le loro nascite e la loro evoluzione nel tempo e anche la notazione matematica, che infine è quella dalla quale ho preso il maggiore spunto, anche se sicuramente hanno avuto un influsso tutti quelli anni di analisi. Infatti l'obbiettivo di una scrittura della danza, in questi tempi digitali dove tutti possono registrare e guardare mille video è quello che le persone possano avere una sorta di guida su dove focalizzarsi per poter "iniziare" ad analizzare e comprendere il movimento. ti ringrazio ancora di cuore per la recensione e spero rimanere in contatto, un abbraccio Alejandro Angelica

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